DAL FORNO Alba

“La ragione di Longidieno”

Non aveva grandi studi e anche di quei pochi difficilmente restavano nomi, anni, provenienze. Semplicemente lasciava andare gli occhi. Se tornavano indietro allora si fermava e prendeva a guardare lentamente. Così guardò per la prima volta la stele di Publio Longidieno nel chiostro del museo. Una barca, un uomo a lavorare con un’ ascia. La scritta diceva: faber navalis, fabbro navale. Da dove veniva, aveva attraversato mari o aveva solo calpestato terra, era nato lì o veniva da altre parti e se veniva da altre parti da che terre e che lingua parlava e come si capiva con gli altri.

Le veniva in mente suo padre, partito per cercare lavoro.

La sua terra aveva monti e dietro al paese un fiume in secca e file e file di ciliegi mischiate a viti. Amava l’acqua che usciva bianca dal rubinetto della cucina e amava i boschi più in alto e i roccoli per la caccia. Parlava in dialetto e traduceva in un italiano stento, tante volte storpiato quando doveva confrontarsi con qualcuno cui attribuisse una qualche distinzione: il medico, il sindaco, una volta un onorevole passato di lì perché ospite della villa grande ai piedi della prima collina.

Per un po’ piantò pali della luce, poi finirono i pali e finì il lavoro. Pensò di andare. Come Longidieno, come tanti. Tutto uguale. Duemila anni, Longidieno come suo padre quando prese la filovia fino alla città e poi il treno per un’altra. Lasciò dietro i monti, ne vide altri, poi fu solo terra stesa, piatta come il palmo di una mano. Una terra così aperta, senza interruzioni di cielo non l’aveva mai vista. Sperava in un profilo ma non ce n’erano. Ad aspettarlo c’era la fabbrica grande, quella che assumeva, che dava da lavorare e un lavoro sicuro, non come i pali che finivano.

La fabbrica grande che stava fuori dalla città e si spingeva verso il mare.

Il mare.

Lui non l’aveva mai visto il mare e non sapeva e non c’era niente che gli facesse sentire un po’ casa.

Piero del paese sopra al suo era già lì, i pali per lui erano finiti prima. Con Piero avrebbe spartito un garage, un garage in una terra stesa e vicino una fontanella di acqua che non usciva bianca ma gialla.

La fabbrica lo assunse a ottobre e a novembre iniziarono le nebbie. Non conosceva quelle nuvole che si abbassavano come brume ma più compatte, più spesse, quelle nuvole che non si muovevano, che nascondevano, che lasciavano bagnato. Bagnato per terra, bagnato addosso, bagnato dentro al garage. E non conosceva il loro dialetto e si sentiva estraneo, spaesato e perso. Lui come forse Longidieno e come tutti quelli partiti per il pane o per qualche altra ragione perché ci deve essere una ragione ben forte per lasciare una terra, una lingua, una appartenenza. La ragione di Longidieno, di suo padre e di tutti gli altri. Tutto come fossero ieri, anche duemila anni

Alba Dal Forno

Stele funeraria di Publio Longidieno, carpentiere della flotta

Arte romana repubblicana, sec.I

Museo nazionale di Ravenna