MONCINI Simone

“Sŏlum”

Affondano i piedi nella sabbia umida. L’acqua bagna i risvolti dei calzoni. Le onde che si rifrangono a riva mi spingono sulla battigia. Fatico a camminare, cerco di saltare per togliermi da quella grigia melma che mi trattiene. Qualche conchiglia solletica i miei balzi.

Il sole di Maggio è caldo ma non aggressivo come quello che sarà in estate. C’è un forte vento che sferza la costa e i capelli della donna bionda che mi osserva da non molto lontano.

Il disco volante plana sul suo cuscino d’aria. Lo lancio maldestramente con molta forza, ma l’equilibrio delle traiettorie resta instabile e le provvisorie ellissi terminano sempre nella sabbia polverosa, senza grazia e leggerezza, con goffi affossamenti come i miei piedi incerti.

Questa mascherina non mi fa respirare come vorrei e fatico a parlare; le mie parole, accartocciate tra il vento, giungono agli altri più confuse del solito.

La donna bionda mi parla, mi fa raccomandazioni ma non riesco a comprenderla bene. Indossa anche degli occhiali da sole ed è come se la maschera si estendesse all’intero viso, spersonalizzando la mimica e l’espressione, la dolcezza dello sguardo, un sorriso.

Lancio il mio frisbee vicino agli altri bambini per attirare la loro attenzione. Sono intenti nei loro giochi e non molto attratti dal girovagare del mio disco arancione.

La donna bionda è la madre che non ho avuto e che il colore della pelle mi ricorda ogni volta che la guardo. Si è alzata gli occhiali sulla testa e non posso rifiutare il suo affetto confuso al timore. La paura di non essere all’altezza, la consapevolezza che non sarà facile con me, per me.

Cerco il mio spazio, il mio posto in questa spiaggia. Voglio farmi notare dagli altri bambini, anche se non vorrei che si concentrassero su differenze evidenti. Cerco la mia libertà, tra la donna bionda e il gruppo dei bambini. Devo separarmi da lei se voglio far breccia nelle loro attenzioni. Mi sono separato dal mio paese per far breccia in questo.

In qualche modo sono arrivato fin qua, con le stesse incertezze delle parabole del mio frisbee. Sono in mezzo, tra la donna e i bambini. Appartengo ai suoi affetti e mi rendo conto di quanto tiene a me. Tuttavia non capisco perché sono qui e non nel mio paese. Non comprendo perché sono qui e non con gli altri bambini, non proprio come loro.

Invidio il volo libero del mio frisbee, seppur incerto. Lo guardo nel cielo e vorrei essere leggero come l’aria che lo spinge dal basso. Piacerebbe anche a me volare su questa spiaggia per capire qual è l’ordine in queste moltitudini di diversità.

Mi accontento di questo posto, al momento. Basta il mio disco che butto qua e là, per ora. In questo angolo di sabbia con i piedi nudi e una mascherina tra naso e bocca. Non è il momento per giocare con gli altri bambini. La mamma allunga la mano verso di me, con un gesto delicato e pieno di accoglienza. Da qui partirò alla ricerca del mio amichevole suolo, della mia interazione con gli altri; alla scoperta di me stesso.