SANTINI Carlotta

“Joey”

Quando dopo l’intervallo gli vedo scendere le lacrime, sento addosso le colpe del mondo. Colpe che a dodici anni non sono le mie, penso, ma perché allora le sento appiccicate sulla pelle?

<<Benvenuto Joey, starai bene con noi!>> Alle 8 la prof di italiano ce lo presenta come se lo conoscesse già, dando tutta la sua accoglienza con il sorriso. Una forza la mia prof di italiano. Lei non cerca di farci sentire le cose, lei ce le fa sentire. Lei non cerca di darci speranza, autostima, valori. Lei ci dà tutto questo, perché le viene da dentro. E in quel benvenuto a Joey c’è tutta l’accoglienza che riserva a ognuno di noi, sempre.

Joey è intimidito, non sappiamo nulla di lui e non è il momento di fare domande. Quaranta occhi girati a guardarlo, chi allunga un braccio dal banco, chi sorride, chi osserva. Tutti voltati all’indietro, insomma. Eh sì, perché Joey ha pensato bene di prendere l’ultimo banco in fondo, pur sapendo che mimetizzarsi sullo sfondo del muro non sarà comunque possibile. Joey dagli occhi fondi come pozzi, che trasmettono volontà, fame di esserci e bisogno di essere accolto. Ma anche forza per parare colpi, se serve.

Passano le ore e Joey quasi non parla. Annuisce e dice no se gli viene chiesto qualcosa. La prof gira tra i banchi mentre spiega e arriva fino a lui, che si paralizza. Sta parlando di poesia e continua a farlo mentre guarda il suo quaderno da dietro le spalle. Gli dice “bravo” passando: Joey ha copiato una mappa dalla Lim.

Arriva l’intervallo. Nel quarto d’ora di frullatore aperto in cui si trasforma la classe, Joey non si alza. Continuo a guardarlo da lontano, una compagna si avvicina e gli parla. Lui è essenziale e a parte qualche timido approccio, nessuno ha più voglia di investire gli ultimi minuti di libertà in chiacchiere con lui. Lo osservo dall’altro capo dell’aula. Vorrei avvicinarmi, ma non riesco, sono introverso.

Suona la campanella, il rumore scema. L’insegnante saluta e raccomanda di ripassare, niente compito scritto. La porta si richiude alle spalle della prof successiva. Ora c’è silenzio, mi giro verso Joey ed ecco le due lacrime che mi prendono a schiaffi la coscienza. È un pianto che dura pochi secondi. Joey lo porta via col palmo della mano. La vicina di banco gli passa un fazzoletto e fa le facce con chi dagli altri banchi le chiede perché Joey pianga. Ma Joey non piange già più. Sono straripate emozioni da quegli occhi, ma ora è di nuovo tutto sotto controllo. Non lo guardo più, perché in quei momenti non si vuole essere guardati.

Tra molti anni Joey mi dirà che le lacrime sono scese perché la prof di italiano è uscita dalla classe dopo l’intervallo: sapeva che non sarebbe rimasta per tutta la mattina di quel suo primo giorno di scuola, ma ci sperava. E me lo dirà tra dodici anni, quando, entrambi con la corona di alloro in testa, staremo per varcare la soglia di casa della nostra prof, coi pasticcini in mano. Un attimo prima che lei avrà aperto la porta e ci avrà abbracciato: <<Benvenuti, ragazzi! Accomodatevi>>.